La cosa che più conta di un viaggio è non smettere di viaggiare. Non cedere alla tentazione di fermarsi è ciò che dà senso all'andare, ciò che lo rende veramente utile e veramente bello. Agli occhi di Dio, agli occhi dell'Universo, agli occhi di chi incontri nel cammino.
(Maurizio Maggiani)
Un nuovo viaggio, un nuovo ritorno. E non è la prima volta che ritorno in un luogo già visto.
Sto leggendo un libro di Maggiani, Il viaggiatore notturno. Parla di migrazioni. Dice: “In realtà i migratori non vanno da nessuna parte, i migratori ritornano, sempre e soltanto. Il loro andare e venire è un perpetuo ritorno”.
Sono forse anch'io una rondine, una migratrice? Più volte sono tornata in un luogo, in un tempo, in una situazione.. Perché? Per vedere se qualcosa è cambiato? Per vedere se sono cambiata io? Forse.
E qualcosa stavolta è cambiato. Se non qui, alla metà del mondo, di là, dall'altra parte dell'oceano.
E tra qualche settimana, finita questa migrazione, sarà bello ritornare.
19 Maggio 2011
Migrazioni
21 settembre 2009
Tiepidi risvegli
Sol, solecito caliéntame un poquito
por hoy, por mañana por toda la semana.
El Sol tiene frío, no quiere salir,
detrás de las nubes se ha puesto a dormir.
Le llama la tierra, le llama la flor
el Sol está sordo es un dormilón.
Los pájaros piden un rajo solar,
sin esa caricia no pueden volar.
Por las calles del cielo que se deje ver
que todos los niños queremos correr.
È curioso l’effetto psicologico del sole: non è ancora apparso all’orizzonte e già mi sento rinfrancata, soltanto a pensare al calore di cui sto per godere.
È quasi l’alba e come ogni mattina esco a fare due passi e qualche fotografia, nella speranza di riprendere, almeno una volta, la cima innevata del vulcano Cayambe senza nuvole.
Il vento s’è placato e tutto all’intorno inizia a prendere il proprio colore. Le Ande sono soprattutto – e letteralmente stanno al di sopra di tutto! – un’emozione. Una presenza assoluta intorno alla quale ha preso forma la vita. Vette innevate che solo il condor può visitare ma che, a volte, dalle spianate di poja dell’altopiano, si potrebbero scambiare per montagne facili da scalare.
Dalla collina a nord scendono velocemente due folletti saltellanti nella loro uniforme escolar azzurra: Luís e Maria sono sempre i primi ad arrivare, la mattina, seguiti ad una figura avvolta in uno scialle arancione, un po’ curva sotto il peso di un altro bebè.
E mentre anche il vento inizia la sua giornata, sconsolata, torno alla mia dimora, a rinforzare il tenue calore del primo sole con quello di un buon the caldo: anche oggi il Cayambe è coperto.
17 settembre 2009
A Pambamarca
Sproloqui notturni ad alta quota
Seduta sul muretto, col vento che mi scompiglia i capelli – e fa piuttosto freddo, una gelida notte delle Ande – accendo una sigaretta e aspiro, facendo scendere questo momento nei polmoni, godendo della miglior solitudine che un essere umano possa provare: quella che gli permette di apprezzare la bellezza e l’armonia e il silenzio, sentendosi unico e al tempo stesso parte di tutto, solitario e partecipe, osservatore e protagonista.
Quassù fa freddo, e l’ho già detto. Dormo nel dispensario medico, normalmente utilizzato come magazzino – dato che non c’è un medico o un infermiere o qualsiasi altro servizio sanitario, anche saltuario – e attualmente trasformato in casetta. C’è il letto, con assi di legno e materasso troppo duri pure le mie ossa abituate al pavimento, un tavolo, due seggioline prese in prestito dalle aule scolastiche, un fornello a gas e il pentolame minimo. L’acqua manca, vado a prenderla alla cisterna che sta in cortile: sembra l’acqua della piscina, stra carica di cloro. Il bagno non c’è, utilizzo quello dei miei vicini di casa, Kris e Pato.
Pambamarca non è un posto per andare in vacanza o fare turismo. Se vedi dieci chilometri quadrati di páramo, l’hai visto tutto. Se vedi un lama, un alpaca, li hai visti tutti. Eppure qui c’è qualcosa che mi attrae, qualcosa di indefinibile: tutto ciò che sto scrivendo in questi giorni non è che un vago tentativo di spiegare (e spiegarmi) cos’è.
Quassù, come negli altri paesi di questa America che conosco, c’è la sensazione che lo spazio non finisca mai. Se mi imbatto in qualche rovina, qualche muro diroccato in mezzo al nulla e mi chiedo cos’è successo li’, quali storie si nascondono in quei muri rimasti a stento in piedi. La – poca – gente che si incontra racconta storie spesso terribili, per loro normali. Spesso sono disperati che hanno perfino dimenticato perché lo sono.. perché questa è la loro vita, come lo è stata quella dei loro padri. Praticano la rassegnazione come una specie di disciplina di vita. Sognano di andare via, ma sanno che non partiranno mai. Ai loro figli viene data una possibilità in più: l’istruzione. Strumento fondamentale per l’educazione e la conoscenza, per strapparli dall’ignoranza e dall’emarginazione sociale ereditaria ed ereditata, di cui da sempre – da quando li abbiamo scoperti – sono vittime i sopravvissuti delle popolazioni indigene.
La sigaretta è finita. Una debole luna, quarto calante opposto e gemello a quello che si vede in Europa penzola come un osso. I piedi, di solito semplicemente freddi, stanno perdendo la sensibilità.. ma da qui posso vedere la croce del sud e la stella polare. Nord e Sud. I miei occhi abbracciano la volta esagerata nel cielo stellato.. tremola allegramente, come se rispondesse in maniera affermativa alla domanda che sorge dai miei alluci: vale la pena tutto questo?
11 settembre 2009
Ritratti dall'Ecuador [1]
A Pambamarquito
4 settembre 2009
A dar una mirada
28 agosto 2009
Sì, viaggiare..
Il viaggio non è l’emozione di attimi pericolosi
il viaggio è la gioia del tempo
pericolo è stare rinchiusi.
Pascal diceva che tutta l’infelicità dell’uomo proviene da una causa sola, non sapersene stare quieto in una stanza.
"Notre nature est dans le mouvement… La seule chose nous console de nos misères est le divertissment".
Io non lo so da cosa deriva la mia irrequietezza. So che il bisogno di andare mi accompagna da quando ho memoria. Uscire dalla stanza, dal pueblo.. Cercare. Conoscere. Capire.
Ma nel mio DNA ci sono anche geni sedentari. E allora diventa fondamentale anche avere la certezza di un luogo in cui togliersi le scarpe e appendere il giacchetto. Casa. Tornare. Fermarsi. Capire.
Coazione ad andare. Coazione a tornare. Come gli uccelli migratori. Ma è un circolo vizioso perchè ancora non l’ho trovato il luogo in cui fissare e sentire casa. E allora girovago, cerco.
Paese significa storia e storia significa lingua, impara la tua direzione da gente che non ti somiglia.
Sto per ripartire, e stavolta parto da sola. In un paese in cui non sono mai stata prima ma di cui conosco un po’ la lingua e la storia. Vado a vedere come si vede il mondo dalla sua metà, vado a sentire che ne pensano del mondo laggiù.
Poi, magari, se vi interessa, quando torno ve lo racconto. Perchè torno.